Tuttavia il film accorciato di oltre mezz'ora ottiene un importante riconoscimento al Festival di Cannes e l'anno successivo conquista addirittura l'Oscar per il miglior film straniero, riuscendo così ad essere redistribuito e ad ottenere un notevole successo di pubblico e persino di critica. In realtà la vicenda largamente autobiografica di un piccolo “monello” siciliano che si nutre delle fantastiche storie che scorrono sullo schermo del cinema parrocchiale del paesello, fino a diventare un importante cineasta, non brilla nè per incisività nè per originalità ma certo si ha l'impressione che nel modo di raccontare di Tornatore puntando sull'intensificazione emotiva, sul coinvolgimento, si sia depositata e stratificata la memoria, le forme e la nettezza di percezione del mondo, del cinema popolare e della grande lezione del cinema del dopoguerra.
Il successivo Stanno tutti bene (1990) batte sugli stessi tasti di malinconico sentimentalismo e conferma il “senso di cordone ombellicale che lega Tornatore al cinema del dopoguerra. Con la collaborazione di Tonino Guerra viene lucidamente osservata la disgregazione del mondo moderno agli occhi di un vecchio che risale l'Italia per cercare di capire che fine hanno fatto i suoi cinque figli. Benchè il film sia forse più riuscito del precedente e la critica lo accolga con rispetto la risposta del pubblico è piuttosto fredda. Nel 1991, Tornatore realizza uno dei quattro
Il suo valore d'artista resta controverso, da un lato c'è chi lo considera un modesto riadattatore di espedienti già sperimentati da registi più validi e interessanti di lui, dall'altro chi invece lo ritiene “l'erede naturale di Sergio Leone per talento narrativo, ricchezza di scrittura, tendenza al sovraccarico di immagini, sentimenti, emozioni.
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